La Riforma come fenomeno cittadino.
Uno degli aspetti più notevoli
della Riforma europea è che essa è stata in gran parte un fenomeno urbano. In
Germania più di cinquanta delle sessantacinque città libere imperiali si
dichiararono favorevoli alla Riforma, e soltanto cinque preferirono ignorarla
del tutto. In Svizzera, la Riforma ebbe origine in un contesto urbano, la città
di Zurigo, e si diffuse mediante il procedimento del dibattito pubblico
all’interno di città confederate come Berna e Basilea, odi altri centri come
Ginevra e San Gallo, legati a quelle città da accordi e trattati. Il
protestantesimo francese ebbe inizio come un movimento prevalentemente urbano,
con le sue radici nelle città maggiori: Lione, Orléans, Parigi, Poitiers e
Rouen. Perché, ci si è chiesti spesso, la Riforma esercitava una così forte
attrazione sulle comunità urbane del XVI secolo? Sono state avanzate numerose
ipotesi per spiegare questo fenomeno.
L’ipotesi
di Berndt Moeller.
Berndt
Moeller ha sostenuto
che il concetto di comunità urbana era stato distrutto nel XV secolo
dall’aumento di tensione sociale all’interno delle città e da una crescente
tendenza ad affidarsi a organismi politici esterni quali il governo imperiale o
la curia papale[1]. Moeller
sostiene che, con l’adozione della Riforma luterana, queste città furono in
grado di ricuperare un senso di identità comunale, ivi compresa la nozione di
una comunità religiosa collettiva capace di riunire gli abitanti in una vita
religiosa comune. È significativo che moeller
attiri l’attenzione sulle conseguenze sociali della dottrina luterana del
sacerdozio universale di tutti i credenti, che fece abbandonare certe
distinzioni tradizionali all’interno della società urbana e incoraggiò un senso
profondo di unità comunale. Moeller
sostiene che il pensiero di Lutero
era il prodotto inevitabile delle regioni nord-orientali tedesche,
culturalmente meno sviluppate, prive di quella raffinatezza presente nelle
comunità più progredite della Germania sud-occidentale. Provenendo da una
cittadina sassone che non aveva le strutture corporative delle gilde e gli
stimoli comunali delle grandi città, ben difficilmente Lutero poteva evitare di produrre una teologia introversa,
provinciale più che cittadina, incapace di rispondere alle necessità della
disciplina comunale e delle strutture corporative cittadine.
Era prevedibile che la mancanza di
familiarità di Lutero con le ideologie urbane contemporanee lo avrebbe condotto
alla formulazione di una teologia tanto profonda e soggettiva, orientata verso
l’introspezione individuale, quanto disimpegnata nella rigenerazione e nella
disciplina delle comunità cittadine. Le teologie di Bucero e di Zwingli
erano invece orientate, proprio all’opposto, verso le realtà dell’esistenza
urbana. Bucero e Zwingli fondarono le loro ecclesiologie
sul rapporto storico esistente fra comunità urbana e comunità ecclesiastiche,
mentre Lutero fu costretto a
edificare la sua ecclesiologia sulla base di una nozione astratta di grazia,
che minacciava di compromettere l’unità cittadina.
L’ipotesi
di Thomas Brady.
Una seconda spiegazione, di Thomas Brady, si fonda ampiamente sui
dati della sua analisi della città di Strasburgo[2]. Brady
sostiene che la decisione di adottare il protestantesimo a Strasburgo fu il
risultato di una lotta di classe, in cui una coalizione di patrizi e di
mercanti al potere ritenne l’unico mezzo a disposizione per poter mantenere la
propria posizione sociale fosse allinearsi con la Riforma. Le oligarchie urbane
introdussero la Riforma come un abile mezzo per conservare i propri interessi
minacciati, messi in pericolo da un movimento di protesta popolare. Una
situazione simile, ha sostenuto Brady,
si è verificata anche in molte altre città.
L’ipotesi
di Steven Ozment.
Una terza spiegazione
dell’attrazione che la Riforma ha esercitato sulle comunità urbane del XVI
secolo ha il suo centro nella dottrina della giustificazione per fede. In uno
studio pubblicato nel 1975 Steven Ozment
ha sostenuto che il fascino esercitato dal protestantesimo sulle classi
popolari derivava da questa dottrina, che offriva sollievo dalla pressione
psicologica del sistema penitenziale cattolico tardo-medievale e da una
dottrina della giustificazione di tipo “semi-pelagiano” a questa connessa[3]. Dato che il peso di questo
fardello psicologico era più grande e più evidente nelle comunità urbane – ha
sostenuto Ozment – fu all’interno
di queste comunità che il protestantesimo ha trovato il suo maggior sostegno
popolare. Ozment ha sostenuto che Moeller ha accentuato troppo le
differenze tra Lutero e i teologi
sud-occidentali. I primi riformatori condividevano un messaggio comune, che può
essere sintetizzato come la liberazione dei singoli credenti dai carichi
psicologici imposti dalla religione del basso Medioevo. Nonostante le loro
differenze, i riformatori che agivano d’intesa con le autorità civili dei loro
paesi (magisterial reformers) – come
appunto Bucero, Zwingli e Lutero – condividevano un comune impegno
per proclamare la dottrina della giustificazione per grazia mediante la fede,
eliminando così la necessità teologica delle (e annullando le preoccupazioni
popolari per le) indulgenze, il purgatorio, l’invocazione dei santi, e così
via.
Ciascuna di queste teorie è
significativa; esse hanno fornito un importante stimolo per uno studio più
particolareggiato dello sviluppo del protestantesimo urbano nella prima fase
della Riforma. Eppure ciascuna di esse ha messo in evidenza delle debolezze,
come in effetti ci si piò attendere da teorie globali ambiziose. Per esempio,
nel caso di Ginevra, come vedremo, le tensioni sociali che alla fine condussero
all’allineamento con la città protestante di Berna e all’adozione della Riforma
di matrice zwingliana, non furono determinate da differenze di classe, ma da
una spaccatura all’interno della stessa classe sociale sull’opportunità di
restare uniti e soggetti al ducato di Savoia o di allinearsi con la
Confederazione svizzera. I “mamelucchi” pro-savoiardi e gli “eiguenots”
pro-bernesi provenivano ambedue dallo stesso gruppo sociale, caratterizzato da
una gamma comune ben identificata di interessi economici, familiari e sociali
condivisi. Similmente, l’ipotesi di Ozment
di un interesse generale, nel popolo, per la dottrina della giustificazione per
fede trova scarsi appoggi nel caso di molte città all’interno della
Confederazione svizzera, o collegate a essa – come Zurigo, San Gallo e Ginevra
– e trascura di tener conto delle esitazioni su quella dottrina da parte di
molti riformatori svizzeri.
Elementi
comuni nella Riforma urbana.
Nonostante questo, da uno studio
sulle origini e sullo sviluppo della Riforma in città come Augusta, Basilea,
Berna, Colmar, Erfurt, Francoforte, Amburgo, Lubecca Memmingen, Ulm e Zurigo,
emergono alcuni aspetti comuni. È utile identificare questi elementi e notare
come essi abbiano influito sulla nascita della Riforma nella stessa Ginevra.
In primo luogo, sembra che la Riforma nelle città
sia stata adottata in risposta a determinate forme di pressione popolare
mirante a una trasformazione dell’assetto sociale. Norimberga costituisce un
caso raro di un Consiglio cittadino che attua una riforma senza una
significativa protesta o richiesta popolare precedente. L’insoddisfazione tra
le popolazioni urbane della prima metà del XVI secolo non era necessariamente
soltanto di carattere religioso; lamentele e proteste sociali, economiche e
politiche erano indubbiamente presenti, in misura diversa, all’interno di un
groviglio di fermenti evidente a quel tempo. Normalmente i Consigli cittadini
reagivano a questa pressione popolare canalizzandola spesso in direzioni
confacenti ai propri bisogni e scopi. Quest’abile manipolazione di tale
pressione era un modo ovvio di cooptare e controllare un movimento di protesta
popolare potenzialmente pericoloso. Una delle osservazioni più significative che
si possono fare riguardo alla Riforma delle città è che i regimi politici
urbani preesistenti non subirono quasi mai cambiamenti sostanziali in seguito
all’introduzione delle nuove dottrine e pratiche religiose, sostenendo con ciò
che i Consigli cittadini erano n grado di rispondere alla pressione popolare
senza effettuare cambiamenti radicali nell’ordine sociale esistente.
Nel
caso di Ginevra, si manifestò una notevole pressione popolare interna a favore
di un più stretto rapporto d’alleanza con la Confederazione svizzera nel corso
degli anni venti del’500. Questa pressione era stata il risultato di un certo
numero di fattori, nessuno dei quali può essere a rigore considerato religioso.
Ammesso che sia possibile individuare un’aspirazione dominante, questo era
probabilmente il desiderio di gran parte dei cittadini eminenti di essere
liberati dalla nefasta influenza del ducato di Savoia. Come varie altre città
in quello stesso periodo, Ginevra aspirava ad una completa indipendenza,
secondo il modello delle città svizzere[4] (Ginevra – è bene ricordarlo –
entrerà nella Confederazione svizzera solo nel 1815). Era la libertà politica a
costituire il punto di riferimento di molti fermenti ginevrini negli anni venti
del ‘500, più che un particolare interesse religioso.
Nei primi anni trenta, tuttavia,
entrò in scena un elemento religioso primario, fino a dominarla del tutto.
L’alleanza della città con Berna determinò una crescente simpatia popolare per
le posizioni evangeliche di quella città. Il Consiglio cittadino fu obbligato a
venire incontro a questa pressione nel tentativo di evitare uno scontro
militare, probabilmente disastroso, con la Savoia. Grazie ad una serie di mosse
diplomatiche, nel 1534-35, il Consiglio cittadino fu in grado di vincere in
astuzia i rappresentanti della Savoia, rafforzando la propria autorità e
favorendo abilmente la causa evangelica senza provocare la resa dei conti
finale con il ducato. Soltanto nel gennaio del 1536 il duca di Savoia Carlo II
perse la pazienza con la diplomazia e decise l’intervento militare.
In secondo luogo, il successo della Riforma
all’interno di una città dipendeva da un certo numero di situazioni storiche.
Adottare la Riforma significava rischiare un cambiamento d’alleanze che poteva
risultare disastroso, in quanto i trattati o le relazioni esistenti – militari,
olitici e commerciali – con territori e città che sceglievano di rimanere
cattolici venivano normalmente considerati decaduti per effetto di quella
decisone. Le relazioni commerciali con una città da cui poteva dipendere la sua
sopravvivenza economica rischiavano di essere così fatalmente compromesse. In
questo modo il successo della Riforma a San Gallo fu dovuto in parte al fatto
che l’industria cittadina di produzione del lino non fu danneggiata in misura
significativa dalla decisione di aderire alla Riforma. Invece, una città come
Erfurt, nelle immediate vicinanze di una città cattolica (Magonza) e di un
territorio luterano (la Sassonia), non poteva rischiare di essere coinvolta in
un conflitto militare con l’una o con l’altra di queste parti interessate, con
risultati probabilmente fatali per l’indipendenza della città stessa[5]. Per di più, una grave mancanza di
unione interna, come risultato della decisione di introdurre la Riforma, poteva
rendere vulnerabile la città alle influenze esterne: fu questo uno dei motivi
principali che spinsero il Consiglio della città di Erfurt a bloccare i
tentativi di attuare la riforma negli anni venti del ‘500.
Nel caso di Ginevra, un fattore
storico determinante era dato dalla presenza del ducato cattolico di Savoia e
dei suoi alleati proprio alle soglie della città. Se si voleva che la Riforma
trionfasse, era necessario neutralizzare la decisiva minaccia politica e
militare contro la sua introduzione da parte di questo ducato. L’affermarsi del
movimento, entro la città di Ginevra, che lottava per un’accettazione delle
forme evangeliche di cristianesimo, negli anni 1532-35, finì per provocare una
risposta militare da parte della Savoia nel gennaio 1536. Ginevra sarebbe stata
completamente sopraffatta se non vi fosse stata l’alleanza militare con la
città di Berna, che già era passata al fronte evangelico fin dagli ultimi anni
venti del ‘500. Questo appoggio sarebbe stato integrato da aiuti economici da
parte di istituti bancari evangelici, in particolare da Basilea, una volta che
Ginevra avesse definitivamente accettato la Riforma. Come risultato, la
pressione esterna per il mantenimento del cattolicesimo era più che
controbilanciata. La Riforma poté avanzare. Tuttavia, un ulteriore fattore
storico venne a complicare la situazione: Berna, avendo dato a Ginevra l’aiuto
richiesto in un momento cruciale della sua storia, reclamava ora il proprio
diritto di metterle la corda al collo. Ginevra non era libera di scegliere la sua
strada per la Riforma: doveva adottare le credenze r le pratiche religiose già
diffuse nella città di Berna.
In terzo luogo, la visione romantica e
idealizzata di un riformatore che arriva in una città e predica l’evangelo, e
ne segue una decisione immediata e unanime di adottare i principi della
Riforma, deve essere abbandonata come del tutto irrealistica. Durante l’intero
processo di Riforma, dalla decisione iniziale di avvio fino alle successive
decisioni riguardanti la natura e i tempi successivi di attuazione delle
proposte di riforma, era sempre il Consiglio della città ad avere in mano il
controllo totale. La Riforma di Zwingli
a Zurigo procedette in un modo molto più lento di quanto egli stesso avrebbe
desiderato a motivo di un andamento prudente adottato dal Consiglio nei momenti
cruciali[6]. Anche la libertà d’azione di Bucero a Strasburgo era limitata. Come Calvino avrà modo di scoprire, i
Consigli cittadini conservavano il potere di espellere i riformatori dai loro
uffici se avessero oltrepassato le linee politiche o le decisioni pubbliche
prese dal Consiglio.
In pratica, il rapporto fra
Consiglio cittadino e un riformatore era generalmente di simbiosi. Il
riformatore, nel presentare una visione coerente dell’evangelo cristiano e
delle sue conseguenze per le strutture religiose, sociali e politiche e per le
iniziative pratiche di una città, era in grado di impedire che una situazione
potenzialmente rivoluzionaria degenerasse nel caos. Il pericolo costante di un
ritorno al cattolicesimo o la minaccia di sovversione da parte di movimenti
anabattisti radicali rendevano necessaria e inevitabile la presenza di un
riformatore. Qualcuno doveva imprimere una direzione religiosa a un movimento
che se incontrollato senza direzione, poteva cadere nel disordine, con
conseguenze inaccettabili e disastrose per le strutture di potere esistenti
della città e per gli uomini che ne avevano la responsabilità. Il riformatore
era quindi una persona sottoposta all’autorità, il suo potere d’azione era
limitato dai responsabili politici, gelosi della loro autorità e portatori di
un loro progetto di riforma che generalmente si estendeva al di là di quello
del riformatore, in quanto comprendeva il consolidamento della propria
influenza economica e sociale. Il rapporto tra riformatore e Consiglio
cittadino era quindi molto delicato e facile a incrinarsi, ma il potere reale
era stabilmente nelle mani del secondo.
Nel caso di Ginevra, si sviluppò un
particolare rapporto fra il Consiglio della città e i suoi riformatori
(inizialmente Guillaume Farel e Calvino, successivamente solo Calvino). Consapevole e geloso della sua
autorità e libertà acquisita a duro prezzo, il Consiglio era ben deciso a non
sostituire la tirannia di un vescovo cattolico con quella di un riformatore.
Nel 1536 Ginevra aveva appena ottenuto la sua indipendenza dalla Savoia, e
aveva sostanzialmente preservato questa indipendenza, nonostante tutti i
tentativi di Berna di fare della città una sua “colonia”. Ginevra non aveva
alcuna intenzione di ricevere ordini da nessuno, salvo che si trovasse nella
dolorosa situazione di dover subire una massiccia pressione economica e
militare. Come risultato di tutto questo, l’azione di Cavino dovette svolgersi entro limiti molto ristretti. La
sua espulsione da Ginevra nel 1538 dimostra che il potere politico rimaneva
saldamente nelle mani del Consiglio della città. L’idea che Calvino fosse il “dittatore di Ginevra”
è totalmente priva di fondamento storico. Ciononostante, il Consiglio della
città dovette constatare di non essere capace di fronteggiare una situazione
religiosa che si deteriorava sempre di più durante l’assenza di Calvino. Con un atto di notevole
pragmatismo sociale e di realismo religioso, il Consiglio decise allora il suo
riformatore e gli permise di continuare il suo lavoro di riforma. Ginevra aveva
bisogno di Calvino, proprio come Calvino aveva bisogno di Ginevra.
[1] B.
Moeller, Imperial Cities and the
Reformation, Filadelfia, 1972.
[2] T.A.
Brady, Ruling Class, Regime and Reformation
at Stasbourg, 1520-1555, Leiden, 1977.
[3] S.E.
Ozment, The Reformation in the
Cities: The Appeal of Protestantism to Sixteenth-Century Germany and
Switzerland, New Haven, 1975.
[4] Le città svizzere erano spesso
considerate, per quanto senza un reale fondamento storico, come modelli di
libertà civica da parte delle loro consorelle tedesche oppresse: T.A. Brady, Turning Swiss: Cities and Empire, 1450-1550, Cambridge, 1985.
[5] Scribner,
Civic Unity and the Reformation in
Erfurt.
[6] F.
Ferrario, La Sacra Ancora. Il
principio scritturale nella Riforma zwingliana (1522-1525), Claudiana,
1993.